L’eterna questione delle micropermanenti: il Tribunale di Bologna meglio della Cassazione

L’eterna questione delle micropermanenti: il Tribunale di Bologna meglio della Cassazione
28 Febbraio 2018: L’eterna questione delle micropermanenti: il Tribunale di Bologna meglio della Cassazione 28 Febbraio 2018

Nonostante i ripetuti tentativi del legislatore di porre un freno al fenomeno del “colpo di frusta”, disciplinando in modo sempre più rigoroso la prova delle lesioni “lievi”, sorprendentemente la Cassazione sceglie di alimentare i tentativi di disapplicare il disposto dell’articolo 139 del Codice delle assicurazioni. Ponendosi in contrasto con le ripetute prese di posizione della Consulta (sentenza n. 35/2014 e ordinanza 242/2015), la sentenza n. 1272/2018 della Terza Sezione afferma che la prova delle lesioni implicanti postumi “contenuti entro la soglia del 9 per cento” non deve esser fornita “esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale”, ma può provarsi con un qualsivoglia “accertamento medico non… imbrigliato con un vincolo probatorio”. Almeno tre sono gli aspetti di tale decisione che lasciano sconcertati. La prima risiede nell’assunto secondo il quale un “vincolo probatorio” che implicasse l’obbligatorietà dell’accertamento strumentale “condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale”, posto che proprio l’ordinanza n. 242/2015 della Corte Costituzionale ha invece dichiarato la manifesta infondatezza di tal genere di “dubbi”. Ciò che sorprende è che l’estensore, poche righe prima, aveva citato proprio quell’ordinanza della Consulta… La seconda è che il principio di diritto dettato dalla Corte risulta apodittico, poiché nella motivazione della sentenza non si rinviene nemmeno il segno di un’interpretazione letterale e/o sistematica dell’enunciato dell’art. 139: la Corte si limita ad esprimere la propria opinione, senza motivarla in alcun modo. La terza riguarda la pretesa “irretroattività” delle modifiche introdotte dall’art. 32, commi 3 ter e 3 quater del d.l. n. 1/2014 convertito in legge n. 27/2012 al testo dell’art. 139, che viene affermata sul presupposto per cui non si potrebbe “porre a carico della parte un onere probatorio inesistente nel momento in cui il giudizio fu promosso”. In tal modo la Cassazione non solo contraddice, ancora una volta, la Consulta (sentenza n. 235/2014), ma la propria consolidata giurisprudenza (e la dottrina) quando distingue tra norme di diritto sostanziale, per le quale vige il principio dell’irretroattività di cui all’art. 11 delle preleggi, e norme di diritto processuale, alle quali invece si applica invece il principio tempus regit actum, e che, quindi, si applicano pacificamente a tutti i giudizi pendenti. Si noti che, a questo proposito, i Giudici di Piazza Cavour hanno ignorato l’ancor più rigoroso disposto dell’art. 1, comma diciannovesimo della legge n. 124/2017, che nuovamente modificato l’art. 139 e che, ratione temporis, avrebbero invece dovuto applicare. Di tutt’altro segno, e ben diversamente argomentata, è invece la sentenza n. 2607/2017 del Tribunale di Bologna che già il 23 novembre 2017 ha fatto puntuale applicazione di quest’ultima disposizione.   A seguito di una diffusa analisi delle novelle legislative succedutesi nel tempo e della giurisprudenza costituzionale e di merito, il Tribunale felsineo afferma che “nell’ambito dell’accertamento “visivo” non è possibile comprendere, dilatando indebitamente il contenuto della disposizione, tutto ciò che il medico può constatare in seno alla semplice “visita” del paziente, procedendo, come di prassi, a palpazione, auscultazione, percussione degli arti, prove di mobilità delle articolazioni e via dicendo”. La conclusione è che “per la risarcibilità del danno biologico, in base alle disposizioni di nuovo conio, applicabili a tutti i giudizi in corso, è strettamente necessario un accertamento clinico strumentale e solo in caso di suscettibilità di accertamento strumentale per immagini sarà possibile riconoscere un danno da (micro)invalidità permanente, ove lo stesso non sia passibile di accertamento “visivo”, nei casi summenzionati”, e cioè per i soli “danni fisici apprezzabili” ad occhio”, quali le cicatrici o altre menomazioni come per esempio l’accorciamento di un arto o la totale ablazione di esso, ovvero i vari disestetismi connessi all’infausto esito della chirurgia estetica. Altro non è consentito”). Tali conclusioni appaiono, invero, ben difficilmente criticabili ed indubbiamente hanno il pregio di esser motivate, a differenza di quel che deve dirsi dell’anzidetta sentenza della Cassazione.

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